Banale è ciò che potrebbe anche non esserci, che non ha alcuna funzione interessante, vitale, che non è utile a nulla, che non ha un fine, che non ha un motivo, che non è essenziale.
Se questa inconsistenza, per qualche motivo, viene “nobilitata”, se prende cioè le sembianze di qualcosa che ha senso, funzione, significato – non avendone di per sè alcuno – allora qui cominciano i guai.
A partire dalle quotidiane espressioni di grettezza a cui non riesco ad abituarmi, ai maschi beceri e impotenti che altro non hanno che battute, becere quanto loro, verso le donne, invece di ringraziarle per migliorare e impreziosire il loro mondo con la loro sensibilità, la loro consistenza, la loro pragmaticità, fino a ciò che è stata definita la “banalità del male”, mi viene da dire che la stessa banalità è banale, che la si possa solo definire come avviluppata su se stessa.
Un fatto autoreferenziale che, come minimo inutile, potrebbe anche non nuocere.
A parte quando incontra la leggerezza, quando questa è volta a camuffare la sua strutturale inutilità e giustificarne l’esistere.
La “banalità del male” è stata anche effetto della leggerezza con cui è stato compiuto o con cui è stato ignorato e sdoganato.
Se la leggerezza guida una persona nel camuffare la banalità, succedono sempre cose sgradevoli, anche tremende.
Se la leggerezza guida una persona nell’allontanare la banalità, assistiamo a qualcosa di straordinario – fuori da quello che normalmente succede – e rivoluzionario.
In ogni ambito della vita di quella persona.
Solo chi sa usare la leggerezza per scacciare la banalità, solo chi ha questo dono, può fare grandi cose nella propria vita e in quella di chi gli sta vicino.
Ho visto certe donne, anche se non tutte, avere questo dono.
Sto ancora aspettando di vedere un uomo che ce l’abbia.