“Guardiamoci attorno. Dove sono gli uomini e le donne adulte, coloro che hanno lasciato alle spalle i turbamenti, le contraddizioni, le fragilità […] il linguaggio della giovinezza e, d’altra parte, non sono assillati dal pensiero di una fine che si avvicina senza che le si possa sfuggire? Dov’è finito il tempo della maturità, il tempo in cui si affronta il presente per quello che è, guardandolo in faccia senza timore? Ne ha preso il posto una sfacciata, fasulla, fittiziamente illimitata giovinezza […] madri che vogliono essere e apparire come le figlie […]. Lo stesso per i padri […].”[1] Affronto questa sezione partendo dalla convinzione che la responsabilità principale del superamento della crisi del legame intergenerazionale faccia capo alla funzione genitoriale dell’esercizio di autorità.Sono arrivato a individuare questo tema dopo essere passato attraverso una serie di ragionamenti, riflessioni, citazioni che mi hanno convinto del fatto che potesse ben rappresentare la situazione in cui si trova oggi il mondo adulto, in particolare quello che incontro nelle pratiche. Mi spiego: oggi i genitori – e gli educatori in generale – si trovano a rappresentare una autorità svuotata di significato, che non ha alcuna presa, che sembra non suscitare alcun interesse o considerazione da parte di chi dovrebbe farne un punto di riferimento. La strategia adottata è duplice: da un lato lo sguardo va al passato e si concretizza nell’ostinazione a riproporre un modello patriarcale di autorità nell’epoca in cui la famiglia patriarcale ha esaurito il suo senso di esistere, occupando al limite solo alcune sacche ridotte nello spazio e nel tempo che, lungi dal rappresentarne la ripresa, ne testimoniano la fine; dall’altro lo sguardo va al presente e si concretizza nell’abbandono della responsabilità di essere genitori/educatori non trovando strategia migliore di porsi sullo stesso piano degli educandi, a causa dell’enorme difficoltà a comprenderli, a tenersi in contatto con loro. La convinzione è quella che diventando come loro, potremo essere più vicini a loro. Tuttavia si tratta di una vicinanza facile da ottenere, perché seduttiva e collusiva, tanto quanto perversa, perché risponde più all’ansia dell’adulto di trovare una immediata soluzione all’essere “vicini a ogni costo” che al bisogno di vicinanza-guida del giovane. Ciò comporta l’esaurimento della strutturale asimmetria iniziale della relazione di autorità/guida con l’approdo a una relazione indifferenziata, collusiva, mettendo su un solo piano ciò che dovrebbe stare su piani differenti: siamo tutti, noi educatori e genitori, sull’enorme distesa salata – monodimensionale- di un lago prosciugato dove qualsiasi direzione presa è uguale all’altra. Se noi abbiamo perso i nostri punti di riferimento, di conseguenza non ne abbiamo da offrire ai nostri ragazzi che ne troveranno altri, ne stanno già trovando altri. Forse la nostra responsabilità è quella, finalmente, di accorgerci di questo. Se un mero ritorno al passato egoisticamente ci aiuta a sentirci “potenti” ma non ci aiuta nell’incontrare i ragazzi – rendendoci in questo “impotenti - e un appiattimento sul presente ci fa scomparire, è forse il futuro il terreno di un possibile incontro.Secondo Massimo Recalcati, nell’epoca ipermoderna assistiamo all’evaporazione della figura del padre e allo smembramento della famiglia tradizionale[2]. Questo comporta una radicale modificazione delle relazioni tra padri e figli, intendendo come padri coloro che hanno il compito, la funzione e la responsabilità di guidare i figli all’acquisizione di una posizione autonoma e indipendente nel mondo. Un concetto estensivo e simbolico di Padre in quanto “[…] la paternità non può essere ridotta a un evento della biologia […]. I padri sono in questo senso sempre molteplici e irriducibili alla vicende del romanzo familiare […]. Il padre non coincide con lo spermatozoo: c’è padre solo dove c’è la trasmissione di un’eredità […].”[3]Il tema dell’evaporazione del padre è introdotto da Lacan già alla fine degli anni ’60 del novecento. La risposta antiautoritaria del ’68 ha sancito la fine del Patriarcato e ha promesso un futuro di libertà senza quei limiti che in modo così assoluto avevano pesato e schiacciato le prospettive dei giovani. Tuttavia, insieme ai limiti di una figura di padre-padrone che inibiva l’accesso a qualsiasi desiderio soggettivo, la protesta non ha fatto distinzioni di merito e si è portata via il “concetto di limite”: nell’immaginario collettivo si è introdotta l’idea che ogni cosa pensabile sarebbe stata possibile. Incontriamo qui il momento in cui il desiderio si svincola dalla realtà e necessità del limite. Entriamo nella dimensione dell’illimitato, che nulla ha a che fare con la dimensione umana, limitata per definizione. Nel gioco, con uno straordinario tempismo, entra sapientemente il “discorso del capitalista”[4] che in una logica di iperindividualismo satura il mercato dei suoi oggetti-merce su cui il soggetto sposta il suo desiderio, come fattore di espressione di quello che vogliamo essere. Così esternalizzato, distaccato, estraneo a sé, il desiderio non dipende più dal soggetto ma dagli oggetti esterni che, disponibili in modo illimitato secondo la logica capitalistica, induce dall’esterno nel soggetto l’esigenza di un godimento senza limiti facendone un perfetto consumatore, mai soddisfatto e quindi sempre attivo nel consumo.Proprio sui concetti di limite e di desiderio a mio avviso si gioca la dimensione della qualità della relazione tra padri e figli.Che padre può essere, un padre che vive nell’epoca della sua stessa evaporazione, della sua esautorazione? Recalcati, volendo rispondere a questa domanda, si distanzia sia da chi celebra trionfalmente la morte del padre, sia da chi ne invoca nostalgicamente il ritorno, provando a ripensarne l’identità. “Questo significa innanzitutto non rinunciare al padre, evitando però di situarlo nella posizione verticale dell’Ideale, del Padrone, della guida infallibile, dell’autorità che ha l’ultima parola sul senso della vita e della morte, del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto.”[5]Ripercorrendo le diverse epoche della nostra società, attraverso i vari miti che simbolicamente rappresentano il rapporto tra il limite e il desiderio, Recalcati propone quattro figure di figli per inaugurare una nuova lettura del rapporto tra genitori e figli: Edipo, anti-Edipo, Narciso e Telemaco. Edipo è il figlio che subisce impotente la ferrea Legge del Padre – la psicoanalisi parla di “Legge di castrazione”-: il Padre che interviene nella fusione incestuosa tra il figlio e la madre, impone la Legge, il Limite del godimento senza fine, permettendo al figlio di ripartire da sé trovando, nel Limite, il suo Desiderio, la vera realizzazione di sé-individuo, superando l’unica colpa che, secondo Lacan, merita questo nome cioè “[…] quella di cedere, di rinunciare, di abbandonare il proprio desiderio e la responsabilità che la sua assunzione singolare comporta[…].”[6]L’anti-Edipo[7] è il figlio che rifiuta fortemente la Legge del Padre, vuole affrancarsi dall’obbedienza cieca alla Legge repressiva e mortificante a cui Edipo è sottoposto. Persegue il mito “[…] della vita libera dal padre, libera dall’Altro. Il mito del ‘corpo-schizo’ come corpo anarchico, […] che gode ovunque, antagonista irriducibile alla gerarchia dell’Edipo”[8] e che dà “[…] involontariamente la stura a un elogio incondizionato del carattere del desiderio contro la Legge”.[9]Narciso è il figlio che non ha conosciuto il limite poiché l’adulto ha rinunciato a esercitare con lui questa funzione. “Il tempo dell’evaporazione del padre è il tempo dell’evaporazione degli adulti. Il narcisismo dei figli dipende da quello degli adulti. Se un genitore assume la felicità spensierata dei suoi figli come parametro della sua azione educativa, lasciando da parte quello della trasmissione del desiderio e dell’impegno soggettivo che questa trasmissione comporta, la sua azione evapora fatalmente nel sostegno del capriccio dei propri figli. In questo modo egli è sollevato dall’angoscia di dover incarnare il limite […]”[10]Telemaco, infine, il figlio che aspetta desideroso il ritorno del padre, costretto ad abbandonarlo per partire in guerra. Vive nella sua terra, ormai dominata dai Proci, che si comportano in modo arrogante, saccheggiano, violentano. Tuttavia cerca di resistere allo sconforto e si mette alla ricerca del padre, ne ha bisogno, lo desidera, per compiere insieme a lui la liberazione della sua terra. E al suo ritorno il padre porta la testimonianza della sua esperienza, sempre guidata dal pensiero e dal desiderio di incontrare nuovamente la sua famiglia, la sua terra. “Telemaco, diversamente da Edipo che cade riverso e accecato e da Narciso che ha occhi solo per la sua immagine, guarda il mare. I suoi occhi sono aperti all’orizzonte. […] non vive il padre come un ostacolo si rivolge all’assenza del padre con la speranza di poterlo incontrare […].”[11]Le nuove generazioni, agli occhi di Recalcati, somigliano più a Telemaco che a Edipo, desiderose che qualcosa faccia da padre, da punto di riferimento di cui subiscono fortemente la mancanza.Dunque la parabola delle giovani generazioni che inizia con la sottomissione alla dura legge del padre-padrone - che impedisce al desiderio di esprimersi - passando per la violenta liberazione da questo limite - che sganciando il desiderio da ogni limite lo trasforma in bisogno illimitato di godimento continuo - approda oggi alla necessità di un punto di riferimento, di un limite che è la condizione necessaria al desiderio per esprimersi.Cosa può dunque fare un padre oggi per ricreare questa condizione, per mostrare il limite senza imporlo e senza rinunciare a questa importante funzione propria dell’adulto? Semplicemente, portando la testimonianza della sua esperienza, della sua vita per come è stata vissuta con tutte le gioie e i dolori, i limiti e i desideri, alcuni realizzati e altri no. Portare la realtà di un’esperienza, non come modello da seguire ma a testimonianza che vivere si può, andare avanti si può.Un adulto testimone, dunque, alla cui esperienza i ragazzi possano riferirsi per trovare a loro volta una strada verso l’unicità di quella che sarà la loro propria esperienza desiderante.  [1] Zagrebelsky G., Senza Adulti, Einaudi, 2016, pag. 47[2] Recalcati M., Cosa resta del padre? Raffaello Cortina, 2017[3] Ibidem, pag XI.[4] Recalcati M, L’uomo senza inconscio, Raffaello Cortina, 2010, cap II[5] Ibidem, pag. IX[6] Recalcati M, Il complesso di Telemaco, Feltrinelli, 2016[7] Deleuze G. e Guattari F., L'Anti-Edipo, trad. di Alessandro Fontana, Torino, Einaudi, 1975[8] Ibidem, pag 105[9] Ibidem, pag 103[10] Ibidem, pag 108[11] Ibidem, pagg 112, 113

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