“’Vita liquida’ e ‘Modernità liquida’ sono profondamente connesse tra loro. ‘Liquido’ è il tipo di vita che si tende a vivere nella società liquido – moderna. Una società può essere definita ‘liquido – moderna’ se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. […] In una società liquido – moderna gli individui non possono concretizzare i propri risultati in beni duraturi: in un attimo infatti, le attività si traducono in passività e le capacità in incapacità. […] La vita liquida è […] una vita precaria, vissuta in condizioni di continua incertezza”.[1]Se è vero, come si dice, che il futuro è una minaccia, allora tanto vale non curarsene e vivere il presente senza limitarsi in nulla. Se il futuro è a tinte fosche, allora è inutile pensare al futuro. Se i pericoli cui ci mette di fronte sono incomprensibili, allora facciamo come se non esistessero. Se il futuro è così brutto come ci è dato credere, allora consumiamo tutto oggi.I ragazzi che incontriamo sembrano, in modi differenti, arrivare a queste conclusioni. Pare che i concetti di “Vita liquida” e di “Società liquido – moderna”, che secondo Baumann rappresentano la realtà in cui oggi siamo calati, mettano in seria difficoltà gli adulti a trovare uno spazio dove collocarsi. In mancanza di strumenti per orientarsi, le soluzioni, le strategie, gli stratagemmi che cercano ostinatamente di riproporre prima a se stessi e poi ai loro figli come “attrezzi” per affrontare la vita e il mondo, sono solo armi spuntate, obsolete ancor prima di esprimersi, inefficaci per il fatto di riferirsi a un mondo che pare non esistere più. I ragazzi, per lo meno alcuni di essi, sembrano non patire così tanto la mancanza di un posto dove realizzare la loro idea di come si sta al mondo, non fosse altro per l’ovvio motivo che non se ne sono fatti ancora una. Loro nel mondo ci stanno e basta, ne fanno esperienza. A meno che non debbano adottare, per forza o per necessità, quella dei loro genitori. E allora sì che soffrono anche loro. Non si tratta di farne una colpa dei genitori, la cui intenzione, nella mia esperienza, è il più delle volte quella di far fronte alla paura per il futuro dei loro figli. Tuttavia noto che spesso sono inconsapevoli che si tratti anche di un modo per reagire a una loro stessa paura. Ma quando parliamo dello stare al mondo, di che mondo stiamo parlando? Si tratta poi dello stesso mondo di ieri – il mondo di riferimento degli adulti - oppure oggi – teatro del mondo di riferimento dei ragazzi - siamo di fronte a qualcosa che è mutato radicalmente alla base? In questo giocano tanti fattori, a cui voglio dare un po’ di spazio nel mio ragionamento. Uno di questi è l’idea di futuro come continuo progresso, come eliminazione delle difficoltà, dei mali del mondo, insomma la fiducia incondizionata di un avvenire che avrebbe garantito una condizione sempre migliore al genere umano, di cui gli adulti sono culturalmente portatori e che oggi vedono smantellata a causa del cambiamento dei presupposti su cui oggi la società globalizzata è posta. Ciò che è cambiato è il segno del futuro. Assistiamo, nella civiltà occidentale e contemporanea, al passaggio da una fiducia smisurata a una diffidenza altrettanto estrema nei confronti del futuro. Ma si tratta dello stesso futuro? Sicuramente no.”[2]Per le persone che incontriamo quotidianamente, il futuro è semplicemente ciò che accadrà domani. Tuttavia sotto questa realtà, a ben vedere, ne troviamo un’altra, ben più nascosta quanto attiva nel condizionare la loro vita quotidiana: si tratta del fatto che il futuro che ci aspettiamo dipende dall’idea di futuro che abbiamo. La cultura occidentale ha caricato enormemente il futuro di promesse messianiche: la medicina avrebbe sconfitto le malattie più gravi, al limite la morte, l’economia avrebbe accresciuto il benessere, tutto ciò che la scienza non conosceva ancora sarebbe stato conosciuto e messo al servizio dell’uomo per un continuo e inarrestabile miglioramento delle sue condizioni. L’idea di futuro cui ci si riferisce è questa, e oggi vive una crisi profonda di fronte a una realtà piena di un numero elevato di minacce – inquinamenti, disuguaglianze, conflitti - che, in contemporanea, creano la nostra quotidiana percezione del mondo. E si tratta di un mondo completamente diverso da quello che ci era stato promesso. Ecco la crisi, il disorientamento, la paura dovuta al fatto che gli strumenti antichi per capire e agire sul mondo non funzionano più e nessuno pare fornircene di nuovi e funzionanti. Il presente ha rivelato la vanità delle promesse dell’ideale positivista e il futuro si è trasformato da una promessa a una minaccia.Il cambio di segno del futuro trova il suo impatto più eclatante nell’incontro con la “globalizzazione negativa” del pianeta.“Il carattere ‘aperto’ della nostra società ha acquisito in questi giorni un lustro nuovo: non più […] sforzi coraggiosi ma faticosi di autoaffermazione […] ma destino ormai irresistibile creato dalla pressione di formidabili forze esterne, effetto secondario della ‘globalizzazione negativa’, vale a dire della globalizzazione altamente selettiva dei commerci e dei capitali […] della coercizione e delle armi – il crimine e il terrorismo - , tutti fenomeni che disprezzano ormai la sovranità territoriale e non rispettano alcun confine statale.”[3]Nell’interdipendenza globale non c’è nulla che gli altri possano fare che sia certamente privo di influenza sulle nostre prospettive, sogni, possibilità. Al pari, non c’è nulla che noi facciamo certamente privo di influenza sulle prospettive di qualcun altro. Questo rappresenta qualcosa di inedito che, insieme al contributo dei media che accostano – pensiamo al bombardamento di notizie e di immagini a cui siamo esposti quotidianamente - in stretta sequenza casi concreti, minacce differenti fino a comporre un paesaggio irreale che nessuno potrebbe realmente avere sott’occhio. Si tratta di un artificio che genera una atmosfera opprimente. Artificiale perché se ogni evento ha una sua storia, non tutti dipendono gli uni dagli altri, come invece quelle sequenze possono evocare.Dunque, il contesto dove le relazioni tra gli adulti e i ragazzi che incontriamo oggi si attuano è estremamente instabile, non ci si può abituare perché è già ora di cambiare, la velocità sembra essere l’unico modo in cui si può rimanere vivi, l’elemento che ci permette di stare in superficie, che ci risparmia di andare in profondità per permetterci di muoverci agevolmente in orizzontale, dove sembra che il senso delle cose si sia trasferito, dove la capacità di creare e partecipare al maggior numero di connessioni possibile sia una competenza irrinunciabile. Quando i ragazzi ci parlano di questo mondo, e noi ci rendiamo disponibili a starli ad ascoltare e a interessarci di capire a fondo gli strumenti che utilizzano e perché li utilizzano, sentiamo di essere entrati in qualcosa di completamente diverso e, soprattutto, di abitato, vissuto da loro con sapienza e competenza. In quel mondo noi li possiamo incontrare.Attraverso una affascinante ricostruzione di quelli che Baricco chiama metaforicamente i saccheggi dei barbari[4], l’autore risale a quella che per lui costituisce una vera a propria mutazione. Il genere umano si è spesso trovato sulla soglia di mutazioni micidiali. Il Romanticismo è l’esempio di mutazione che l’autore rende uno dei motori centrali della sua analisi: la classe borghese aveva bisogno di uno spazio, interamente occupato dalla visione aristocratica del mondo, per far vivere e legittimare i propri valori, l’anelito all’infinito, l’interiorità, il lavoro, la fatica, la ricerca interiore della vera natura umana, la conquista. Una nuova visione del mondo si stava diffondendo alla quale nessuno ha potuto mettere un freno. La Nona di Beethoven, uno dei totem del Romanticismo, rappresentava bene gran parte di questi valori. Tuttavia a quell’epoca fu bollata come un’opera inascoltabile, dalle dimensioni intollerabili, di cui era impossibile fruire in termini allora utilizzati per avvicinarsi a un’opera musicale. Insomma, diceva molto di più di quello che a prima vista potesse sembrare.È in quest’ottica che l’autore si allontana dalla visione che vede dietro ai saccheggi una società degradata e una degenerazione dei valori. Rimanendo in metafora, i saccheggi sono le conseguenze delle incursioni – a cui non ci è dato assistere - dei barbari. Per lui, tuttavia, un saccheggio non indica un modo sbagliato di utilizzare il mondo, bensì un nuovo modo di fare esperienza del mondo. Un semplice esempio dell’autore relativo al rapporto odierno con la lettura e il libro chiarirà il ragionamento: “Per capire bene dovete pensare, che so, a Faulkner. Per scendere con Faulkner in un suo libro, di cosa si ha bisogno? Di avere letto molti altri libri. In un certo senso, bisogna essere padroni dell’intera storia letteraria: […] della lingua letteraria, […] abituati al tempo anomalo della lettura, […] allineati a un certo gusto e a una certa idea di bellezza […]. Lì, il barbaro si ferma. Che senso ha, si deve chiedere, fare una fatica porca per imparare una lingua minore, quando c’è tutto il mondo da scoprire, ed è un mondo che parla una lingua che so?”[5]Velocità v/s lentezza, superficie v/s profondità, spostamenti v/s appostamenti, traiettorie v/s punti fermi: ecco alcune dicotomie che emergono dall’analisi dell’autore e che definiscono le due visioni del mondo, i due modi di fare esperienza, attorno a cui si polarizzano da una parte i giovani e dall’altra gli adulti.A questo punto verrebbe da chiedersi: che cosa possiamo fare, noi come adulti/educatori, in questa situazione dominata da incertezze, insicurezze, dove tutto pare sfuggire alla comprensione, dove tutto pare avvenire secondo dinamiche e cause ingovernabili a cui non possiamo che assistere passivamente?Nella sua apparente banalità, mi verrebbe da rispondere: quello che possiamo provare a fare è insegnare a vivere. Naturalmente la solo apparente banalità di questa risposta deriva non dal fatto che io la proponga, bensì dall’essere una risposta elaborata da Edgar Morin e a cui aderisco volentieri in conclusione a questa sezione in quanto ne può costituire un anello di rimando all’incertezza da cui siamo partiti. La sua quadrilogia pedagogica[6] si pone non come l’indicazione di materie da insegnare ma come una proposta di riflessione non tanto per una riforma dell’educazione ma per un suo superamento. I sette saperi necessari all’educazione del futuro altro non sono che “sette problemi fondamentali tanto più necessari da insegnare in quanto sono ora totalmente ignorati o dimenticati”[7]; Una società a cui guardare in ottica globale, planetaria, inserita in meccanismi trans-comunitari, iper-complessa, dove il mito della conoscenza infallibile ha svelato la sua natura illusoria e dove la sottovalutazione dell’importanza di conoscenza della condizione umana. Il sapere che, tra i sette, mi ripota con più decisione alla pratica professionale, ai dubbi da cui sono partito con elementi nuovi e proficui è senza dubbio quello di insegnare ad affrontare le incertezze: “Si dovrebbero insegnare principi di strategia che permettano di affrontare i rischi, l’inatteso e l’incerto, e di modificarne l’evoluzione grazie alle informazioni acquisite nel corso dell’azione. Bisogna apprendere a navigare in un oceano di incertezze attraverso arcipelaghi di certezza.”[8][1] Baumann Z., Vita liquida, Laterza, 2008, pag. VII[2] Benasayag M., Schmit G., L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, 2011, pag. 18[3] Baumann Z., Paura liquida, Laterza, 2009, pag. 120[4] Baricco A., I barbari, Feltrinelli, 2006[5] Ibidem, pag. 69[6] Si tratta della trilogia formata dai testi: La testa ben fatta, Raffaello Cortina, 2000; Relier les conaissances, Seuil, 1999 e I sette saperi, Raffaello Cortina, 2001, completata e integrata dal testo Insegnare a vivere, Raffaello Cortina, 2015[7] Ibidem, pag. 7[8] Ibidem, pagg. 13-14.

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