Partiamo da qui: la psicologia e la pedagogia non dovrebbero ignorarsi, tantomeno combattersi. Ma spesso si ignorano e si combattono. Soprattutto nelle pratiche.

Vorrei provare a fare un ragionamento su quella che nella mia esperienza costituisce una realtà che penalizza gli uni e gli altri e che penso, per un professionista, sia una questione di grande attualità. Inoltre l’intervenire in senso migliorativo su questa realtà potrebbe costituire una importante sfida – per me lo è – per i professionisti coinvolti

Innanzitutto quando si parla di apprendimento la pedagogia, insieme alla psicologia, è la disciplina d’elezione.

In particolare, la pedagogia ne presidia gli aspetti che hanno a che fare con la sua esposizione a un certo contesto.

Al fine di iniziare il suddetto ragionamento esprimo il concetto di “cose complesse” intendendo quelle cose che possono essere considerate l’esito di un percorso a partire da delle corrispondenti “cose semplici” le quali, nella loro esposizione protratta nel tempo a un certo contesto, hanno cambiato forma, dimensione e confini pur mantenendo viva la radice della loro origine.

Il sistema metrico decimale è un esempio straordinario: nato dalla possibilità – è proprio il caso di dire “a portata di mano” – di contare fino a dieci con l’ausilio delle dieci dita delle mani, è diventato una delle principali basi di calcolo di tutto quello che oggi è sotto i nostri occhi.

La radice è: “Le dita mi aiutano a contare, quindi conto” – cosa semplice.

La forma è: “Un sistema di calcolo che è capace di governare il mondo” – cosa complessa.

Il percorso è: “Le dita mi aiutano a contare e, alla lunga, mi fanno anche imparare meglio a contare fino a permettermi di elaborare un sistema potentissimo di calcolo.

Ma ora: cosa c’entra questo con il rapporto tra pedagogia e psicologia?

La prima risposta che mi viene è: stiamo parlando di apprendimento, di cambiamento e di sviluppo cioè di tre temi chiave intorno ai quali il rapporto tra le due discipline si esprime in modo piuttosto evidente, sotto gli occhi di tutti quando l’una o l’altra ne rivendicano, in modi diversi, la maggior voce in capitolo.

A proposito del discorso di poc’anzi su radice, forma e percorso, si è detto che la capacità di calcolo dell’uomo potrebbe essere partita, o potrebbe essere stata facilitata nel suo sviluppo, da ciò che lui stesso aveva facilmente a disposizione utilizzato in funzione di ausilio grazie al quale è stato possibile quell’apprendimento.

“L’uso delle dita nel conteggio rappresenta in questo senso uno dei più antichi e naturali scaffolding usati dall’uomo che giustificano la scelta del sistema metrico decimale da parte di numerose civiltà[1]”.

Continuando, in modo un po’ più banale, si potrebbe dire che la straordinaria capacità di calcolo acquisita dal genere umano sia stata possibile, o facilitata (anche) grazie alla conformazione delle nostre mani; oppure che l’uomo non avrebbe mai scoperto di avere un talento per i calcoli se non fosse stato dotato di mani; oppure che se le dita delle mani fossero state sei il sistema sessagesimale avrebbe surclassato quello decimale, e così via.

Tuttavia, ciò che mi interessa evidenziare qui è che senza quell’ausilio l’uomo avrebbe fatto molta più fatica a imparare a contare, a meno che qualcosa o qualcuno, artificialmente, gli avesse offerto un altro aiuto. Se diamo per buona questa affermazione, possiamo anche dire che gli esiti concreti dello sviluppo sono condizionati da ciò che si ha a disposizione nel contesto di sviluppo; In particolare, lo sviluppo dell’apprendimento è favorito in modo positivo se nel contesto si incontra un fattore che è di aiuto al suo decorso.

Trovo che il considerare in modo congiunto i concetti di “Zona di Sviluppo Prossimale” – ciò che il bambino apprende con un aiuto senza il quale non ci sarebbe quell’apprendimento (Vygotszkji[2]) – , di “Scaffolding” – ciò che costituisce un aiuto a svolgere un compito (Bruner[3]) –  e di “Sfondo integratore” – rapporto fra strategie individuali di apprendimento e organizzazione del contesto (Zanelli[4]) – costituisca un punto di partenza straordinariamente proficuo per un dialogo produttivo tra psicologia e pedagogia, per una necessaria e diffusa chiarificazione del fatto che il sapere psicologico, in tema di apprendimento, educazione, formazione abbia la funzione di fornire dati e informazioni “sui” processi a quello pedagogico e che, contemporaneamente, il sapere pedagogico abbia la funzione di entrare in gioco quando si tratta di intervenire “nei” processi e di riflettere su questo intervenire. Semplicemente perché più adatto in quello specifico campo

Non si tratta qui di ricercare nell’”allora” – le radici storiche – ciò che ha determinato l’attuale rapporto tra sapere pedagogico e sapere psicologico – ad esempio la “buona ragione” della eventuale prevalenza di una sull’altra o della unilaterali “invasioni di campo” da parte di entrambe – piuttosto quello di trovare oggi, in un contesto sociale complesso, liquido e inafferrabile, il senso non solo di una convivenza ma anche di un proficuo influsso reciproco, che alzerebbe il valore di entrambe e le renderebbe più efficaci nel comprendere l’uomo in un mondo di cambiamenti epocali, repentini, globali. Partendo, forse banalmente, dal definire non tanto un “campo di azione” – rigidamente confinato – di entrambe, ma di un “campo prevalente di azione” – dotato di confini sfumati e permeabili –  di ciascuna disciplina insieme alla “zona comune di azione” costituita dalla zona di confine dei campi.

Tornando alla semplicità, cercando di essere concreto, in relazione ai processi di apprendimento, cambiamento, educazione, sviluppo, ci si potrebbe porre in questo modo:

La psicologia definisce e spiega questi processi nel loro funzionamento, la pedagogia li presidia, li osserva mentre sono in funzione, agisce e riflette sulla propria azione pratica e di pensiero.

In presenza di un cambiamento processuale, se si tratta di capire un cambiamento “di” processo entra in gioco la psicologia, se si tratta di gestire un cambiamento “nel” processo entra in gioco la pedagogia.

 

[1] Marsala M., La memoria nei contesti di vita, p. 92, FrancoAngeli, Milano, 2005.

[2] Liverta Sempio O., Vygotskij, Piaget, Bruner. Concezioni dello sviluppo, Raffaello Cortina, Milano, 1998.

[3] Wood D., Bruner J. S., Ross G., The role of tutoring in problem solving, in Journal of Child Psychology and Psychiatry, volume 17, da p. 89 a p. 100, Pergamon Press, 1976.

[4] Zannelli P., Uno ‘sfondo’ per integrare, Cappelli, Bologna,1986.