Appare oggi sul Sole 24 Ore che il 25 % dei giovani italiani tra i 19 e i 34 anni, più di 3.000.000 di persone, sono nella condizione di “Neither in Employment or in Education or Training” (NEET), cioé che non sono occupati nè in un lavoro, nè in un percorso di studio o di formazione. La realtà ci dice che questa definizione andrebbe integrata con il fatto che la maggior parte di loro, profondamente sfiduciata, non è nemmeno impegnata in una vera e propria ricerca di una strada per uscire da questa condizione.  Si tratta del 75% in più della media europea. A Crotone la percentuale sale al 48%.

Questi numeri non hanno bisogno di commenti: parlano da sè.

Nella legge di Bilancio 2022 esiste un piano NEET che prevede un coinvolgimento dei centri per l’impiego con l’obiettivo di creare “Sportelli Giovani in tutti i Centri per l’impiego con competenze e professionalità specifiche per accogliere i giovani NEET e gestirne le eventuali situazioni di disagio sociale e/o psicologico. In questo modo tali figure, oltre ad accogliere i giovani, potranno indirizzarli in modo più efficace verso le risorse locali più adatte alla loro situazione e potranno fare rete con gli enti pubblici e privati della formazione, con i servizi sociali e con il tessuto produttivo del territorio per far emergere ulteriormente il fenomeno Neet e avviare i giovani in percorsi di formazione o inserimento lavorativo.”

I numeri sono catastrofici; tuttavia si intravvedono prospettive aprezzabili di intervento che si prefiggono, con la gestione del disagio psico-sociale, di superare un importante punto critico: l’inefficacia dell’inervento ‘a valle’ di un fenomeno estrememente complesso, che si focalizza sugli effetti più che sulle cause. Mi pare un approccio positivo a cui dare, idealmente, fiducia.

Detto ciò, esprimo due timori concreti:

1) se prima di fornire supporto al disagio non si individuerà con precisione la sua natura, il rischio che vedo è quello di una riduzione da un lato banalizzante dall’altro patologizzante del disagio stesso, rendendo inefficace l’intervento. Per una corretta analisi dovrà essere privisto il coivolgimento di professionalità diversificate: sociali, educative e pedagogiche, psicologiche riconoscendo a ognuna pari dignità.

2) i tempi di apertura degli sportelli, se troppo lunghi, potrebbero lasciare questo interessante progetto nel popolato regno delle idee irrealizzate.

Per quanto mi riguarda farò due cose:

1) contatterò un centro per l’impiego per informarmi se in questo progetto sia previto l’impiego delle mie professionalità di pedogogista e (a breve) counselor;

2) continuerò a fornire un supporto gratuito, in numero purtroppo limitato per ovvi motivi, ad alcuni giovani in difficoltà che non si possono permettere di pagare una seduta nell’attesa che progetti simili a questo permettano a me di essere retribuito e ai ragazzi di avere una opportunità alla loro portata.

Detto per inciso, ai giovani che seguo offro il mio tempo – in modo che essi stessi capiscano l’importanza di prendersi del tempo per comprendere -, una opportunità di esprimersi in libertà, un tentativo congiunto di guardare a loro stessi in termini prospettici e di vedersi dentro un ruolo per mostrare a sè stessi e al mondo quanto sono in grado, e desiderosi, di assumersi le loro responsabilità.

Concludo dicendo che:

1) non tutti, ma molti hanno trasformato la visione di sé stessi nel mondo.

2) molti adulti, in questo, potrebbero utilmente ispirarsi a loro.