Le categorie sono comode e funzionali scorciatoie per ordinare in modo veloce, ma imperfetto, ciò che ci circonda e che ci capita. Buono e cattivo sono anche categorie valoriali, dunque relative, e ognuno nell’utilizzarle è guidato dalle proprie convinzioni. Né giuste né sbagliate. Solo quelle che abbiamo deciso di assumere come valide per noi.

Ciò premesso, il buonismo è una particolare disposizione a considerare le cose come assolutamente buone.

Rischio numero uno di n: vedere il buono anche dove non c’è.

Rischio numero due di n: non vedere il cattivo quando c’è.

Insomma, di escludere una parte della realtà attraverso le pratiche della attenzione e disattenzione selettive.

Il buonismo non è una scelta, nemmeno un’opinione, nemmeno un valore. È piuttosto una visione distorta della realtà attraverso la rimozione di parti importanti di essa.

Come gran parte degli “ismi” è privo di capacità critica.

Diversamente dalla bontà, non fa i conti con la cattiveria; semplicemente non la considera, non la vede, la rimuove.

Per questo motivo, non solo non la può combattere ma le permette di dilagare liberamente.

Il buonista che rinsavisce, cioè che si rende conto che la medaglia ha due facce, facilmente non diventa buono o cattivo: diventa cattivista, cioè cattivo in modo preconcetto e acritico, una foto in negativo del buonista.

Buono e cattivo hanno la possibilità di affrontarsi in quanto realtà contrapposte che si riconoscono a vicenda.

Buonismo e cattivismo sono due facce della stessa medaglia, cioè l’incapacità, spesso strumentale, di accettare la realtà per quello che è, di farsi una propria opinione delle cose e di difendere questa opinione.